domenica, maggio 07, 2006

Intervista del Gazzettino di Pordenone il giorno del mio compleanno!



Domenica, 7 Maggio 2006

Trent’anni fa venne partorito al Santa Maria degli Angeli. Un’insolita presentazione al primo giorno di asilo
Cecchin, nato dal terremoto
Il racconto: «Quella notte mia madre uscì dall’ospedale e si sedette sulle aiuole»

Nascere nella notte dell'Orcolat. A leggere i segni, anche da "non iniziati", viene da pensare (inevitabilmente) di essere dei predestinati. O no? È successo a Federico Cecchin, per tutti semplicementeFede, vignettista di vecchia data (oggi a Tpn, ieri per il Movimento dei Casalinghi), appassionato di fumetti, satira e solidarietà. «Molte delle mie esperienze - confessa schietto il neopapàFede - mi accomunano al terremoto del Friuli. Penso prima di tutto alla voglia di ricostruire, al non perdersi d'animo di fronte ai problemi, alle iniziative benefiche che ho realizzato. Ho fatto anche l'alpino e ne sono fiero, ricordando tutti quelli che si sono rimboccati le maniche per aiutare a dare una luce di speranza a noi friulani. Ogni 7 maggio, nella mattinata del mio compleanno, per me diventa inevitabile pensare commosso a tutti quei morti...».
- cominciamo dall'inizio: dove ha partorito sua madre Maria?

«Nel "nostro" Santa Maria degli Angeli».

- Secondo passo: cosa è accaduto durante quella notte fatale compresa tra il 6 e il 7 maggio del 1976, attingendo alla testimonianza dei suoi genitori?

«Sono cresciuto con i loro racconti. Dopo la scossa più forte dall'ospedale erano quasi tutti fuggiti. Mia mamma era spaventata: non trovava nessun medico o infermiere in sala parto. Era entrata al Santa Maria alle 21 del 6 maggio, insieme a mio padre e a mia nonna. È stata una fortuna, perché avevano preso l'ascensore. Sarebbe bastato qualche minuto in più per rimanere bloccati all'interno della cabina. Lei ricorda quegli attimi come se fossero stati la fine del mondo. Nessuno capiva l'esatta gravità della situazione. Mio padre, affettuosamente, le sosteneva la pancia. Alle 22, uscita dall'ospedale, si sedette sulle aiuole di via Montereale per provare a razionalizzare gli eventi».

- Stava già molto male?

«Era in pieno travaglio, con doglie sempre più forti. Appena ci fu il cambio turno alcune ostetriche le dissero gentilmente di salire, che ormai era tutto finito. Non era proprio così. La paura restava grande. Alle 2.50 finalmente sono nato».

- Sembra un film: dopo distruzione e morte, torna la vita.

«Certo, l'eterna catena».

- La memoria del terremoto, per quanto indiretta, l'ha marcata per sempre?

«Sì. Ero un bambino vivace. In effetti, da piccolo non capivo perché tutti alla mia vista parlassero di sisma, specie i parenti. Così pensai che quella parola fosse qualcosa che mi apparteneva. Nel primo giorno d'asilo mi presentai alle maestre dicendo: "Mi chiamo Federico Terremoto". In ogni caso, ha dato una bella scossa alla mia vita, tanto che sono sempre stato un ragazzo creativo».

- Un vulcano di idee...

«Mi sento fortunato e toccato da Dio se sono ancora qui. Resto profondamente colpito quando vedo altri disastri nel mondo».

- E oggi?

«Il 6 maggio è un giorno simbolo, non solo per chi ha subito quei momenti ma anche per riflettere. Terrorismo è una parola che somiglia a terremoto. Contiene la parola terrore: restare soli, perdere qualcuno inaspettatamente, chiudersi in se stessi».

Pier Paolo Simonato

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