lunedì, gennaio 16, 2006

Ostaggi, una brutta esperienza per tutti



Tutti noi abbiamo tirato un sospiro di sollievo per la liberazione di cinque nostri connazionali rapiti nello Yemen il primo giorno dell’anno e liberati il 6 gennaio, dopo una settimana di estenuanti trattative.
È giusto che la nostra società, attraverso le sue istituzioni, impieghi qualsiasi mezzo diplomatico per garantire sicurezza ed incolumità ai propri cittadini ma, ora che il lavoro dei negoziatori è finito, ora che i nostri connazionali sono liberi di tornare a casa, ora che l’apprensione e la paura dei loro familiari (e nostra) si è placata, è giunto il momento di dare una risposta a quella domanda che, magari un po’ sommessamente, tutti ci siamo fatti: questo rapimento è accaduto accidentalmente? È stato un caso straordinario assolutamente imprevedibile? Oppure è il frutto di una leggerezza nella valutazione di una realtà lontana e poco conosciuta? Oppure, peggio ancora, una precisa ricerca del rischio, della tanto affascinante vacanza estrema, quella da “raccontare agli amici”?
Mario Porqueddu, nell’articolo apparso sul Corriere della Sera del 6 gennaio, ripercorre la strada che porta agli ostaggi; il suo viaggio si snoda in una natura che ricorda tanto quella rappresentata nei film di cowboy di holiwoodiana memoria, dove però al posto di puledri selvaggi cavalcati da indiani troviamo pickup con mitragliatrice e soldati armati di kalashnikov che scortano i turisti.
Come se questo non fosse sufficiente a rendersi conto dell’ambiente in cui ci si trova, si sappia che per proseguire su quella strada i turisti devono essere in possesso di un permesso del ministero dell’Interno in 24 copie, uno per ciascuno dei 12 posti di blocco, andata e ritorno.
A questo punto ogni ulteriore commento potrebbe sembrare inutile. Eppure il fatto che il cronista affermi che sono decine, se non centinaia, i turisti che percorrono giornalmente quella tratta lascia quantomeno perplessi rendendo assolutamente condivisibile l’osservazione dello stesso autore secondo il quale i turisti che ripartono da lì hanno le lacrime agli occhi non tanto per le bellezze naturali visitate, quanto per l’aver sfidato i sequestri, per aver sfidato lo Yemen. Se è vero che la sicurezza e l’incolumità sono valori da difendere con tutti i mezzi possibili è altrettanto vero che non può essere in alcun modo giustificata l’incoscienza, l’indisponenza e l’egoismo di quelle persone che credono ancora che mettere a repentaglio la propria incolumità sia solo un fatto esclusivamente personale e privo di risvolti sociali. L’Iraq non ci ha insegnato proprio niente?

Alessandro Marelli

1 commento:

Anonimo ha detto...

Ciao Federico, benvenuto nella sottoblogosfera dei vignettisti!